Catalogna: La crisi Catalana vista dalla strada

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Nelle ultime ore continuano ad uscire dichiarazioni, interviste e prognostici sulla situazione Catalana.

La prima questione su cui si dovrebbe trattare è la democraticità di tale decisione. Possiamo definire democrazia una situazione in cui, poco prima delle votazioni, l’opposizione ha lasciato la seduta parlamentare in segno di protesta e tra quelli rimasti dieci hanno votato contrari, spesso palesando il voto nonostante fosse segreto, due si sono astenuti. Questo partendo dal fatto che il Parlamento catalano sia composto da 72 sedute della maggioranza e 62 dall’opposizione. Dunque, su 135 parlamentari, 70 hanno approvato il testo che dichiara l’indipendenza.

La seconda discussione potrebbe analizzare la situazione catalana finanziariamente parlando. la Catalogna potrebbe sopravvivere? Il testo approvato in Parlamento, tramite accordi con lo Stato centrale della Spagna, sancirebbe la creazione di una banca centrale catalana, un centro di investimenti per poi avviare trattive con Madrid per quanto riguarda i debiti statali accumulati negli anni passati. Soprattutto, che moneta verrebbe utilizzata? Tenere l’Euro, faccenda molto improbabile, o buttarsi in una fallimentare (forse) nuova moneta?

La terza è attinente alla stabilità effettiva di un governo con a capo Puigdemont, lo stesso che fino ad una settimana fa tentennava nelle dichiarazioni e che giovedì ha, prima posticipato di un’ora la conferenza, per poi cancellarla, preso forse dal timore delle possibili conseguenze. Il tutto incorniciato dalle proteste a Barcellona di studenti separatisti e non solo.

La quarta controversia è attinente alle relazioni internazionali che la Catalogna potrebbe instaurare. Nel testo approvato si chiede a Madrid di favorire il riconoscimento del nuovo stato a livello nazionale. Sembra scontato affermare che la Spagna metterebbe il veto ad una possibile richiesta di entrata nell’Unione Europea. Londra ha già dichiarato, poche ore dopo, che non riconosce questa “transizione giuridica” della Catalogna, mentre il Belgio si propone come meta per l’asilo politico di Puigdemont. Le altre nazioni, quali l’America o banalmente la Svizzera e la Norvegia come si pongono al riguardo?

La quinta problematica, forse anche quella più emergenziale, risiede negli spiriti oppressi dei Paesi Baschi e la Galizia. A seguito di questa “vittoria” catalana, come reagiranno le altre comunità autonome che hanno sempre sognato in un’indipendenza e che non ne hanno mai oppresso la volontà?

Una questione su cui, però, vorrei fare leva è il punto di vista degli spagnoli (catalani compresi) su tutto il polverone che si è tirato su. Mi riferisco principalmente agli spagnoli non schierati e senza forcone alla mano (né per l’indipendenza né perché unionisti).

Ho avuto così modo di parlare con una ragazza spagnola (di León) ma studentessa a Barcellona, che chiameremo L., e una ragazza, invece, di Valencia, che chiameremo a sua volta A.

Quando ho chiesto loro che cosa stesse succedendo in Catalogna, la ragazza di León ha subito voluto fare una premessa “Well, this is the fact: Cataluña is one of the biggest and richest regions in Spain, so economically speaking, it gives a lot to the rest of the regions of Spain, more than other regions can give.” (Questo è il fatto: la Catalogna è la più grande e ricca regione di tutta la Spagna, quindi economicamente parlando danno molto al resto della Spagna, molto rispetto a quello che le altre regioni possono dare). La Valenciana ha commentato dicendo che era una vergogna tutta la situazione (“First of all I thing it’s a shame all this situation”), cercando di essere superpartes, condannando in un certo senso entrambe le parti in gioco.

La conversazione con entrambe è continuata con un escursus storico accostato da ragioni economiche che noi tutti bene già sappiamo. Alla domanda se loro fossero più pro o contro indipendenza, dopo aver esortato con un “It’s a bit selfish” (è un po’ egoistica come cosa), L. ha continuato sostenendo che “in my opinion, what a country is about is that everyone gives what they are able to give.” (secondo me, quello che fa di uno Stato tale, è la possibilità di ognuno di dare quello che sono in grado di dare -tenendo conto del mercato interno). A. fa notare come “Spain is the only country in the world with four official languages in it. We have a huge diversity in culture and ways of living if we compare the north and the south, quite similar to Italy” (la Spagna è l’unico stato nel mondo che ha quattro lingue ufficiali al suo interno. Abbiamo una grande diversità nella cultura e nel modo di vivere se compariamo il nord con il sud, quasi come in Italia). Cercando di normalizzare e spostando l’attenzione dalla questione economica su quella culturale, trovandovi (forse in maniera disperata e utopica) le vere motivazioni.

Ciò che è emerso fortemente è una profonda comprensione da parte di entrambe a questo gesto estremo del governo catalano “People from here is tired of this situation.” (La gente di qui, Barcellona, è stanca di questa situazione). L. mi dice che non ha paura per il risultato delle prossime elezioni, quelle che si terranno a dicembre, perché secondo lei sono più le persone unioniste rispetto a quelle che vogliono seriamente scindersi. Il problema, risalendo da anni e anni, deposita le sue radici oramai stabili e il governo non ha mai fatto nulla per migliorare la situazione, anzi “The government didn’t listen to what Catalonia was saying” (Il governo non ha saputo ascoltare che cosa i catalani dicevano/chiedevano). Da spagnola, L. ritiene che lo Stato centrale di Madrid non aiuti abbastanza la Catalogna e non le dia nulla, nonostante le spettino degli aiuti ed incentivi finanziari.

Dopo quanto accaduto il primo ottobre, giorno del referendum, le persone sono perse, così L. commenta ciò che vede e sente nelle strade di Barcellona “there are a lot of people who wants to stay or they want to separate but they don’t have any idea why.” (Ci sono molte persone, sia che vogliano restare che separarsi, che non hanno la minima idea delle motivazioni che le spinge verso una o l’altra posizione).

A., per la vicinanza geografica e storica alla regione della Catalogna, si sente parte di questo processo “it’s also part of me”, anche per una prossimità linguistica. Infatti, la ragazza mi fa notare come molti suoi amici pro indipendenza vorrebbero che Valencia sia unisse alla scissione propria per il numero elevato di similitudini, maggiori rispetto, per esempio, a León.

Non è solo una disputa per aver più soldi, è una faccenda più alta e che tocca tutti. Spagnoli e catalani, Valenciani e Baschi, Europei e non. Non si può solo economizzare la questione, bisogna che tutti ascoltino che cosa le persone hanno da dire, perché da qui nasce il problema.

Parole inascoltate da orecchie sorde.

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